Quante volte hai salvato un contenuto pensando: “Lo guardo con calma più tardi”?
Un reel su Instagram, una ricetta su TikTok, la lista dei “3 libri che devi assolutamente leggere”, o quel podcast che “non puoi perderti”.
Poi passa una settimana. Due.
E tutto è ancora lì, dimenticato nella tua cartella dei salvati.
Nel frattempo hai ascoltato solo metà di un podcast, abbandonato un articolo per mancanza di concentrazione e lasciato aperte sei newsletter “perché dentro c’era qualcosa di interessante”.
Benvenutə nel club del Digital Guilt.
Quel senso di colpa sottile che ti assale quando non riesci a stare al passo con l’infinita giostra di contenuti che ti orbitano attorno.
Da curiosità a compiti a casa
Una volta i contenuti digitali erano una distrazione, un piacere, una parentesi. Oggi sembrano diventati doveri:
- ogni podcast è una lezione,
- ogni post un consiglio,
- ogni newsletter una mini guida per migliorarti.
Risultato? Trattiamo i contenuti come una to-do list emotiva.
Un elenco infinito, che si allunga ogni giorno e non finisce mai.
E qui scatta la trappola: invece di essere fonte di ispirazione, i contenuti diventano una misura della nostra “inadeguatezza”. Se non vengono consumati tutti, ci sentiamo pigri, poco curiosi, meno brillanti degli altri.
Overload cognitivo: contenuti ovunque, attenzione da nessuna parte
Viviamo in multitasking costante: ascoltiamo mentre camminiamo, leggiamo mentre mangiamo, guardiamo mentre lavoriamo.
Il problema non è la qualità dei contenuti.
È che non c’è più spazio, tempo, profondità per assimilarli.
Il nostro cervello non è progettato per assorbire decine di micro-stimoli ogni ora: lo fa, certo, ma a caro prezzo. Perdiamo concentrazione, memoria e paradossalmente più consumiamo, meno ricordiamo.
Così ci sentiamo inadeguati, sempre indietro, mai davvero “al passo”. Questa saturazione ha un nome: overload cognitivo. Troppi input, tutti insieme, tutti i giorni.
E i brand?
In questo caos, anche i brand (e chi li aiuta a comunicare) hanno una responsabilità.
Ogni contenuto pubblicato non è solo un post in più nel feed di qualcuno: è anche un peso in più nella sua testa.
Vale la pena chiedersi: stiamo creando contenuti che aiutano o contenuti che schiacciano?
Perché se tutto diventa “indispensabile”, niente lo è davvero.
Forse non serve sempre dire qualcosa
A volte un contenuto può semplicemente far sorridere. O far pensare. O, semplicemente, far sentire.
Non tutto deve insegnare, migliorare, ottimizzare. Un feed non è (o non dovrebbe essere) un corso di perfezionamento continuo.La vera sfida oggi non è consumare di più. È scegliere meglio. Respirare.
E, finalmente, non sentirsi in colpa se restiamo indietro.