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Cool Stuff 01 Feb 2019
Francesco Grazioso

Super Bowl: Quando la curiosità per la pubblicità supera la manifestazione sportiva

Domenica 3 febbraio è in programma la 53ª edizione del Super Bowl, la finale della National Football League, ovvero il campionato di football degli Stati Uniti d’America, che vedrà affrontarsi i New England Patriots contro i Los Angeles Rams.

Oltre ad essere l’evento più atteso in America, il Super Bowl è anche la manifestazione sportiva più seguita al mondo, capace di unire 110 milioni di spettatori in Usa e 50 milioni in tutto il pianeta.

Questo porta verso la notte del Super Bowl una particolare attenzione da parte dei brand e delle web agency che vedono la possibilità di farsi conoscere e rafforzare la propria identità davanti ad un pubblico attento e globale.

La curiosità verso lo spazio pubblicitario durante il Super Bowl esiste da sempre, tanto da scatenare maggiori aspettative verso gli spot piuttosto che nei confronti della partita in sé; tanto è il lustro di apparire all’interno di questa cornice che 30 secondi di pubblicità nel corso dell’evento arrivano a costare fino a 5,2 milioni di $.

Video con produzioni milionarie, testimonial d’eccezione, sperimentazioni, nel corso delle oltre 50 edizioni del Super Bowl se ne sono viste di tutti i colori, ma alcuni casi in particolare hanno cambiato l’immaginario collettivo dello “spot pubblicitario” e delle reference che una web agency come Jump Group deve sempre avere a mente.

Ecco i più significativi:

1984, Apple (1984): https://youtu.be/2zfqw8nhUwA

1984 è stato una vera e propria rivoluzione nel campo degli sport pubblicitari, un cortometraggio di un minuto girato dal regista di Blade Runner, Ridley Scott. Oltre ad avere un significato profondo, citando e parlando nel 1984 del 1984 ipotizzato dal George Orwell, lo spot presenta una differenza fondamentale con tutto quello che si era visto precedentemente, un particolare che dovrebbe insegnare molto anche ai pubblicitari ed ai responsabili della comunicazione di tanti brand attuali: il prodotto non viene mai mostrato. Quello che si vuole vendere è un messaggio, un valore, il fatto che grazie al nuovo Macinstosh “il 1984 non sarà come quel 1984”, un’arma contro l’alienazione.

Uno spot potentissimo mostrato contemporaneamente a milioni di spettatori. Nel 1984 utopia pura.

We apologize, Fed Ex (1998): https://youtu.be/K1qwjx6xUtU

Ancora più rischiosa la scelta di Fed Ex del 1998. Tenendo sempre a mente i costi per uno spazio di 30 secondi durante il Super Bowl, la scelta dell’azienda è stata quella di affidare il messaggio ad un copy, a tratti surreale: una scritta in sovraimpressione, con sullo sondo delle barre colorate di un televisore fuori uso, spiega che lo spot non è arrivato in tempo agli studi televisivi e quindi, per questo motivo, non poteva essere trasmesso. Il tutto perché il corriere non era stato Fed Ex.

Questo spot ci insegna tre cose fondamentali: 1. nel campo della comunicazione bisogna avere il coraggio di rischiare ed osare, 2. rischiare può essere ancora più efficace se si segue l’arma dell’ironia e dell’autoironia, due valori fondamentali per risultare simpatici agli occhi dei clienti, 3. la semplicità spesso e volentieri paga… anche se, durante il Super Bowl, costa.

You can still dunk in the dark, Oreo (2013)

Andiamo ora su qualcosa di più attuale e che sottolinea un aspetto fondamentale che ogni brand sui social network dovrebbe seguire: pubblicare il post giusto al momento giusto. Quello che si intende per un perfetto Real Time Marketing.

Oreo ha totalizzato un clamoroso record in fatto di retweet e favorites durante il Super Bowl del 2013 sfruttando un “fuori programma” della competizione: un blackout totale che ha lasciato al buio tutto lo stadio. Giocando ironicamente su questa situazione che tutto il mondo in quel momento conosceva, il brand di biscotti ha rilanciato la propria immagine a livello planetario, trasmettendo simpatia e grande capacità di cogliere l’attimo.

Quello che sembra il lavoro di 5 minuti (in realtà è così per quanto riguarda il singolo post) ha richiesto il dispiego di tutto lo staff creativo e grafico del brand, pronto sull’attenti a seguire nei minimi particolari la finale in attesa del momento giusto, fatalmente arrivato: un mix di fortuna, professionalità e scaltrezza. Uno degli esempi più tangibili di come si deve sfruttare un evento di spessore mondiale per farsi pubblicità, senza tra l’altro spendere 1 €.

Stranger Things 2, Netflix (2017): https://www.youtube.com/watch?v=9Egf5U8xLo8

Parlare con gli spettatori del piccolo schermo, camuffarsi da “spot classico” dal sapore vintage e inserirsi nel flusso televisivo in modo omogeneo per poi ribaltare la situazione, il tutto fatto da un brand che ribalta la concezione classica di “guardare la tv”: questo è stato il salto triplo, quadruplo, se non di più che Netflix ha effettuato nel 2017 per promuovere la seconda stagione di Stranger Things. L’inizio di uno spot anni ’80, il periodo in cui si svolge la vicenda, diventa improvvisamente il trailer della serie, lasciando tutti di stucco e con il fiato sospeso.

Un’eccezionale trovata di marketing per promuovere alla tv, nello spazio più ambito e più nazionalpopolare d’America, un prodotto che in televisione non ci andrà mai.

Certo in Italia il football americano non genera lo stesso pathos che in America, siamo pur sempre la patria del calcio. C’è da dire però che un evento del genere non può non destare curiosità e attenzione anche dal nostro punto di vista: in un modo che si muove ai mille all’ora, dove tutti possono fruire di ogni bene in qualsiasi istante è cosa buona e giusta tenere sott’occhio come comunica chi è disposto a pagare 5 milioni di dollari per uno spazio di 30 secondi, con creativi sempre pronti a sparare la cartuccia giusta. E poi c’è poco da dire, gli americani quando si tratta di “sparare” non si lasciano intimidire.

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