Chit-Chat
Quando tutto ti va male
Ci sono certe mattine che ti fanno realizzare che sarà una giornata difficile da sopportare.
Ma quello che non realizzi è che tutto potrà andare solo peggio. Un piccolo dramma personale, inizialmente mattutino, poi confermato da un traballante pomeriggio, pronto a lasciare spazio, con il favore delle tenebre, alla sera che con il suo sorriso ironico a forma di luna ti fornisce il colpo di grazia.
E cosa fare, quando tutto ti va male?
Quando la sveglia, per un gioco di riflessi acustici e stordimento, sembra sparare il proprio strillo ad un volume più alto del normale e per lo spavento non la posponi ma la interrompi e basta, così da non avere il secondo richiamo, quello fondamentale per alzarti davvero e arrivare in orario. Così, chissà quanto tempo dopo, sicuramente troppo tardi, ti svegli. E sei già indietro su qualsiasi tabella di marcia.
E ti metti seduto nel letto cercando i motivi per non mandare fin da subito un chiaro messaggio alla vita “Sono ammalato, non vengo al lavoro” ma finisci per trovare, quello sì, un unico motivo per alzarsi, a differenza delle pantofole, quelle no, che i demoni notturni hanno sparpagliato in giro per la stanza. Vestendo i panni, anzi i peli, del cane da fiuto ne segui la traccia e le ritrovi, lontanissime, e con scatti sempre più veloci e nevrotici raggiungi la macchinetta del caffè, ovviamente con il raccoglitore delle capsule pieno, ovviamente con il recipiente dell’acqua vuoto. Ma sopporti e ringrazi il cielo per quell’ultima capsula a disposizione che sbuca dalla scatola mezza aperta, mezza chiusa, mezza vuota. E azioni il tutto, sfruttando gli istanti in cui il piccolo ometto che lavora dentro alla macchina del caffè (se no non si spiega il funzionamento) ti prepara il caffè per fare tutto il resto: scegliere l’outfit, optare per quella maglia, quella lì, l’unica che non trovi e cerchi, cerchi, cerchi e ti ricordi che era da lavare e allora ti affidi al fato: lo stile andrà come andrà, come tutto poi.
Quando ti fiondi in bagno con una sola gamba dei pantaloni infilata, iniziando a pettinarti, lavarti i denti, curare il viso già martoriato da questi pochi minuti: il tutto contemporaneamente.
Quando sei lì con in una mano lo spazzolino e nell’altra il phon (e ti fermi a pensare “ma come si scrive... phon? Fön? Vabbè, l’asciugacapelli) ma poi realizzi: “Cazzo il caffè!” Ed esci, come un accappatoio bagnato che dopo aver preso vita senza nessuno dentro scappa da una stanza di hotel, per recuperare la tazzina. Ovviamente di caffè ne cade subito un po’ per terra ma lo ignori, ritorni in bagno lo stesso e sembri una cosa, una roba, un’opera di arte contemporanea senza senso, schifata anche dai critici di manica larga.
Quando, ricomposto alla bene e meglio, fai le scale, una rampa alla volta e ti accorgi di avere dimenticato le chiavi della macchina e fai due rampe alla volta per recuperare e ne fai tre per scendere.
Quando entri in macchina, accendi la radio ed è scoppiata una nuova guerra, quando di guerra ti bastava quella che stavi combattendo tu dalla sveglia in poi, e giri la chiave e a darti il buongiorno arriva la spia della riserva che sembra dirti “We fenomeno, il bello inizia ora”.
Quando hai quattro semafori che ti separano dall’ufficio e l’unico verde che vedi è il tuo stato economico una volta aperto il portafoglio per pagare il benzinaio ma stoicamente vai avanti e arrivi in ufficio sul gong, ma sudato.
Quando accendi il computer e sembra arrivata in città la “fabbrica dei problemi”, nuovo giocattolo targato GIG, la versione adulta della “Fabbrica dei Mostri” che a te non hanno mai comprato quando eri alle elementari e ti viene da fare i capricci.
Quando non riesci neanche più a contare le mail e gli accolli che ti stanno arrivando.
Quando il programma non va. Quando devi spegnere e riaccendere. Quando non trovi un foglio per un appunto. Quando non trovi una penna. Quando appare “error”.
Quando ti arriva l’ennesima telefonata di telemarketing e va bene una, vanno bene due, accetti anche la terza ma alla quarta, oggi, proprio oggi: “non mi tengo più dentro nulla” e allora ti sfoghi con l’incolpevole precario che è all’ascolto, che ti chiede persino scusa, augurandoti una buona giornata e “NO, NON È UNA BUONA GIORNATA!”, e chiusa la conversazione l’unica cosa che ti verrebbe da fare è piangere dal nervoso, fiumi di lacrime che scopri essere solo affluenti del più grande dei fiumi, quello del senso di colpa, e quindi vorresti richiamare immediatamente l’operatore, chiedendogli scusa, proponendogli una cena, proponendogli dei soldi, tutti quelli che hai, per ottenere il suo perdono.
Quando finisci le otto ore di lavoro e chiudi gli occhi, immaginando il divano, sperando sia ancora dove lo hai lasciato, ma mancano quelle ultime commissioni. E “Cos’altro mi può succedere oggi?”, pensi, creandoti nelle proiezioni della mente le più catastrofiche delle risposte e cerchi di tenere gli occhi aperti per non inciampare, farti derubare, non cadere in un tombino o in tranelli burocratici o truffe e, invece, inizia a piovere. Una pioggia non prevista da alcuna previsione del tempo e non è pioggia ma il più grande dei diluvi da Noè in poi, che ti infradicia, sì, ma almeno ti lava via il sudore che ti tiene compagnia dalla mattina e, zuppo come uno stivale pescato da un laghetto in America, decidi che tutto può finire qui, triplice fischio finale, e ti incammini, o meglio strisci, verso casa, al sicuro, dove nulla ti può umiliare, perlomeno pubblicamente.
E allora è proprio lì, grondante, sconfortato, afflitto, deriso, frustrato che chiudi gli occhi e districandoti in un abile gioco a ostacoli trovi le uniche cose che da sempre riescono a risollevarti, a farti dimenticare quella patina di sconfitta.
Non l’abbraccio di una nonna, non il conforto di un amico, non un bicchiere di vino scacciapensieri, non l’ennesimo rewatch della trilogia di “Ritorno al futuro”.
Ma il ricordo del sorriso rassicurante ma beffardo annegato nei milioni di Tom di MySpace, immaginandolo meritatamente al mare con in mano un cocktail, sommerso di musica nuova e bellssima.
Lo sguardo ipnotico di Clippy, la graffetta-assistente di Microsoft, oggi, nel 2023, in pensione ma pronto a comparire nella più impensabile delle situazioni, tipo nei bar di tutto il mondo, a risolvere i problemi di anziani pieni di virus.
E, soprattutto, di quanto, sicuramente, sarebbe stato bello e soddisfacente sapere giocare, o addirittura vincere, una partita a Bantumi.
Ricevi i Jump Crunch ogni 15 giorni
5 minuti di aggiornamento sul mercato del digital: poche semplici pillole per essere sempre allineato ai trend dell’innovazione digitale e di mercato.