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Cool Stuff 27 Mar 2023
Francesco Francia

La box di Natale

Sulla mia scrivania il posto non è tanto. Ogni giorno si aggiungono cavi, scartoffie e post-it. Tenere in ordine è difficile tanto fuori, nel luogo di lavoro che sia il proprio desktop del pc o il tavolo in cui appoggio tutte le mie cose, quanto dentro.

Per questo, spesso, è necessario diventare un po’ Marie Kondo e prendere in mano la situazione, pulire gli schermi, soprattutto quando il fascio di luce delle finestre mostra tutta la polvere che si deposita rendendo impossibile leggere le mail, cercare di fare ordine quando intorno a me sembra sia passato un uragano di informazioni, catalogare promemoria, organizzare dispositivi e pianificare.

Così, dentro e fuori si crea quello che è il mio spazio, un resoconto tutto mio di quello che è il lavoro, dove trovano il loro posto giusto e fondamentale le pause sigaretta e le to do list della giornata: nulla deve togliere tempo a nient'altro, tutto deve essere equilibrato. Ordinato.

È in questi momenti di pulizie primaverili o fuori stagione che il mio spazio fisico prende coscienza di sé: riconosco ogni piccolo oggetto che lo compone e i reali significati delle cose.

Sottovalutare l’importanza degli oggetti è sintomo della nostra vita frenetica; per dimenticanza o indifferenza spesso ci facciamo accompagnare da loro per molto tempo senza davvero utilizzarli per quello che sono o per necessità, siamo troppo abituati ad averli lì, vicini come animali domestici che ci ancorano a terra e ci danno la sicurezza di un posto che non deve per forza cambiare e che può rimanere quello che è, nel suo inutile esserci e bastare per questo.

Ogni mattina butto zaino e giacca sul mio tavolo nero, mi accascio sulla sedia e preparo tutti gli oggetti che mi serviranno durante la giornata. Apro il computer, collego il monitor, carta e penna sul lato e tutte le piccole finestrelle digitali che posiziono quasi automaticamente sullo schermo così da dare inizio ad una routine che vivo quasi serenamente, come fosse segno di un giusto dovere e di un piacevole ripetersi di azioni e gesti.

Tutto questo subisce le sue variazioni nel corso della giornata, entrano in gioco le novità, i problemi, le urgenze, quello che è pianificato e quello che non lo è, così da stravolgere l’ordine che è dentro la mia testa e sulla mia scrivania, portando tutto quello che era perfettamente allineato ai bordi a diventare un casino necessario.

Sono questi i momenti che richiedono, urlando, l’ordine. 

Mentre, arrivati a sera, tutto quello che andava fatto è stato fatto, quello che invece non è andato si rimanderà al giorno successivo e allo stesso modo i piccoli oggetti e le cose che si sono accumulate hanno bisogno di trovare un loro posto, buttati o catalogati, di certo non in bella vista, per avere il senso di ripartire il giorno dopo senza i problemi non pianificati e con una sorta di controllo maggiore che, purtroppo, non dura mai quanto vorremmo.

È a questo punto della giornata che, almeno per me, le cose prendono senso. Hanno un significato preciso, di inutilità, di importanza infinita o di semplice corredo, ma si diventa comunque capaci di distinguere ogni oggetto e dargli un ruolo specifico.

Così, nel corso dei primi mesi del 2023, ho capito quale fosse il reale “perché” dietro alla piccola scatola di cartone che ho sulla scrivania. Solo qualche centimetro, poco ingombro, ormai non ricordo nemmeno più cosa c’è dentro e poco mi interessa, ma è lì, tanto inutile quanto ingombrante, che rimane presente attorno ai tanti mutamenti dello spazio che la circondano, rimanendo ferma.

Da mesi la guardo e penso che dovrei disfarmene, trovarle un altro spazio in ufficio o semplicemente buttarla, ma per un motivo o per l’altro (mai davvero specifici) non l’ho mai fatto, lasciandola lì, a disposizione del mio materiale di ogni giorno.

Tenere una scatola di cartone su un tavolo già tanto pieno è diventato per me motivo di riflessione sul perché e sul motivo di fondo della sua costante presenza.

Infondo, quando ci scervelliamo tanto per capire qualcosa che noi stessə abbiamo creato, nella maggior parte dei casi significa che la risposta è più semplice di quello che si crede.

La piccola scatola racconta una sua storia, è arrivata sulla mia scrivania come test per un prodotto in vendita durante lo scorso Natale e da lì non si è più spostata, nonostante la fine del suo primario scopo e nonostante non c'entri più nulla con questo spazio.

Eppure, in fondo, ha molto più significato di quello che le ho dato fino a poco tempo fa. Racconta di un fallimento e di un momento in cui qualcosa su cui si è puntato tanto, per un motivo o per un altro, alla fine non ha portato i risultati sperati. Non solo non li ha portati, ma ha di gran lunga disintegrato il pavimento su cui poggiavano le mie aspettative.

Nel nostro lavoro può succedere di dover far fronte a delusioni di questo tipo, nonostante la pianificazione, l’impegno e le tante ore di briefing è possibile che alcune cose semplicemente non funzionino. Questo aiuta a raddrizzare il tiro e a riprovarci con una consapevolezza diversa e un atteggiamento ancora più cazzuto.

Ma non significa che il senso di fallimento sia facile da lasciare andare; spesso è proprio lui che ci accompagna per tempo come un diavoletto sulla spalla ficcando il forcone proprio in quel punto fastidioso dietro la schiena dove non riesci nemmeno a grattarti. 

Sono convinto della retorica che accompagna discorsi come “cadi e rialzati più forte di prima”, ma credo anche sia necessario lasciarsi trasportare da ciò che di positivo c’è e c’è stato in quello che contorna il fallimento, così da prepararsi al futuro, forse in qualche modo soffrendolo di meno, perché infondo qualcosa di buono l’ha portato.

La scatola di Natale mi ricorda di tutte le vendite andate male, della strategia da raddrizzare e di quell’amaro in bocca che mi ha lasciato. Ma si carica poi anche di tutto il percorso che c’è stato per portarla avanti, del periodo pre-natalizio e di tutto lo stress e i bei sentimenti che comporta, del divertimento con colleghi e clienti nell'idearla.

È forse a questo punto che capisco come non sia realmente necessario soffrire un fallimento per non ripeterlo, ma basta semplicemente accettarlo in ogni sua sfaccettatura, lasciandosi un po’ andare anche ai bei ricordi che può trascinare nel tempo e raccogliendone i giusti consigli per il futuro. 

Questo perché fallire spesso è inevitabile e nasconderlo solamente dietro ad un “la prossima volta andrà meglio” ci renderebbe più faticoso affrontarlo la volta successiva, mentre tenendolo accanto ogni giorno, vedendone tutte le sfaccettature, forse, ce lo rende parte della nostra routine, con tutti i fattori di crescita e di sofferenza che questo può portare.

Dopo tutti questi viaggi mentali che mi creo da solo in testa semplicemente guardando un pezzetto di cartone, mi sembra quasi di riconoscere con più familiarità l’importanza di tutte quelle cose che ci accompagnano ogni giorno, vedo gli oggetti delle scrivanie di collegə, sia quelle perfettamente ordinate che quelle sommerse dal caos quotidiano, e mi chiedo: “chissà quale paranoia avranno da raccontare”.

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