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Ho paura dunque sono
Il nostro mondo sembra essere alla continua ricerca di nuovi fenomeni per spaventarci.
Oltre all’ignoto, mostro spesso invalicabile che quasi sempre ci fa elaborare teorie senza base alcuna piuttosto che affrontarlo, la realtà è alla continua produzione di fobie che ci limitano nelle scelte e nelle azioni. Tra tutte, le più recenti sono racchiuse nel macro insieme della “tecnologia”, al cui interno, tra i tanti sottoinsiemi, troviamo i “social”, dentro ai quali possiamo velocemente trovare, come una moderna matrioska: paura di essere giudicati, paura di essere insultati, paura di non partecipare, paura di non piacere, paura di non ricevere like, paura del ghosting, e così via.
Ma cos’è la paura? È qualcosa di cui non possiamo fare a meno, un motore delle nostre emozioni; anche per questo piacciono così tanto i racconti horror, o per lo stesso motivo, troviamo spesso chi rallenta quando passa di fianco ad un incidente, per “osservare la paura”, con la sensazione di sentirsi protetto.
Stephen King, maestro del genere, la cui attività letteraria va ben oltre la definizione di “re dell’horror” con il quale viene etichettato, nella prefazione di “A volte ritornano” scrive, in un interessante riflessione sulla “paura”: “la paura ci rende ciechi e noi tocchiamo ciascuna paura con l’avida curiosità dell’interesse personale”.
Sono le nostre paure a formare la nostra personalità, il nostro io, definendone i limiti e gli angoli più oscuri, ma anche punti di forza e corazze. Ma quando nasce effettivamente la nostra paura? Quando capita di scontrarcisi per la prima volta: “il bimbo è un essere senza paura soltanto fino alla prima volta che la mamma non è là per ficcargli il capezzolo in bocca appena lui piange”, per citare sempre la prefazione di King.
Tutti, quando cresciamo ci svegliamo la mattina con qualche briciolo di paura in più; cercare nella nostra storia dove questi sentimenti sono nati è un’attività per capire più in fondo noi stessi.
Certo, non è per nulla una cosa semplice e ci sono professionisti pagati profumatamente che impiegano anni per riuscirci. Però, partire dai primi “traumi narrativi”, cercando di rievocarli, potrebbe essere un qualcosa di divertente e stimolante per iniziare la ricerca.
Per esempio i film, i cartoni animati, i libri: cosa ci faceva paura da piccoli?
Ecco cosa faceva paura a me.
Il leone di Jumanji (Jumanji, 1995)
“Ha zanne aguzze, vi vuole assaggiare. Non vi conviene temporeggiare.”
Ho passato anni interi non con la paura, bensì con la certezza che bastasse un tiro di dadi per far apparire un leone nella soffitta di casa. Riconoscerlo da qualche tasto del pianoforte suonato con la coda. Iniziare a tremare con il primo ruggito. Ma cos’era a spaventarmi realmente… l’ipotesi di trovare dal nulla un felino in casa o l’eventualità di rimanere 26 anni nella giungla nera?
I gatti siamesi (Lilli e il vagabondo, 1955)
Sarà stato il fatto che uscissero da un cestino, o forse la loro coordinazione perfetta nei movimenti, o lo sguardo azzurro e penetrante capace di trarre in inganno la povera Lilli, sarà stata la canzone ipnotica, ma la scena dei due gatti siamesi è da sempre nel podio della mia personale classifica del terrore. Il che è molto strano, perché penso di aver visto il film non più di 2 o 3 volte, non possedevo neanche la videocassetta. Era il film che guardavo dai nonni paterni. Forse non era tanto la loro scena a spaventarmi, ma il fatto che potessero trattenermi lì, con loro, senza più farmi vedere i miei genitori… i gatti, non i miei nonni.
Il vicino dei McCallister (Mamma ho perso l’aereo, 1990)
È il centro nevralgico del terrore di Kevin, bambino che riesce ad affrontare con maestria due ladri ma trema alla visione del vicino sosia di Babbo Natale. E lo fa solo per le malelingue, leggende inventate per far circolare il panico. E quindi perché questa vittima del sistema è in questa temibile selezione? Perché sono ancora certo che nasconda qualcosa.
La strega (Biancaneve, 1937)
Sicuramente l’espressione rassicurante di una sconosciuta dalla quale accettare una mela. Senza dubbio. Penso non ci sia nulla da aggiungere… sì, ma anche te Biancaneve, dai.
Maga Magò (La spada nella roccia, 1963)
La signora Magò è tutto sommato un bel personaggio, buffo, simpatico, tra tutti i villain Disney forse la macchietta comica per eccellenza, nonostante il suo aspetto un po’… pittoresco, diciamo. Ma alla domanda “Lo sai che posso rendermi anche più brutta?”, anche io avrei risposto come Semola, con la gaffe delle gaffe: “quasi impossibile”, e mai mi sarei aspettato di trovarmi di fronte un volto suino così terribile, ancora oggi presente tra i miei incubi per un effetto sorpresa al negativo, da fare invidia a tanti horror più “adulti”. Sarà body shaming… ma che paura.
Zia Stecco e Zia Spugna (James e la pesca gigante, 1996)
Quando si parla di bambini orfani affidati ai più improbabili parenti si apre un mondo intero di tristezza e angoscia, tra tutti il conte Olaf, ma qui abbiamo il caso più emblematico con la coppia di zie più prepotenti e disprezzabili della storia. Mai avrei accettato di essere affidato a loro. E tuttora un po’ di paura che possa succedere c’è. Aggiungiamoci poi il contesto fiabesco molto dark e via.
Madame Medusa (Le avventure di Bianca e Bernie, 1977)
Vedi sopra, con l’aggravante dei fini malvagi e criminali. E perché, soprattutto, si toglie le ciglia.
Il dinosauro sputa veleno di (Jurassic Park, 1993)
Il film che ha trasformato il mio sogno di bambino in realtà (poter rivedere i dinosauri nel nostro mondo) presenta nel momento di massimo dramma la scena più agghiacciante di tutta la pellicola. No di certo il tirannosauro che divora l’avvocato seduto sul bagno (che bel modo per andarsene) e neanche i raptor tra i banchi nella cucina. Bensì, il “dinosauro che sputa veleno”, per la cronaca dilophosaurus, che prima spaventa e semi-acceca sotto il diluvio tropicale e poi divora nascondendosi dentro la macchina uno dei programmatori del parco che, dopo pochi anni, sarebbe diventato l’assistente tutto fare di Michael Jordan, tra realtà e Looney Tunes. Per la cronaca, controllo ancora sempre, quando salgo in macchina, di essere da solo, senza nessuna specie di sauropsidi diapsidi.
Un po’ tutto il film (Brisby e il segreto di NIMH, 1982)
Film straordinario del regista e animatore Don Bluth che, dopo un’esperienza in Disney, ci ha regalato un capolavoro dopo l’altro (per la cronaca, i vari “Fievel”, “Charlie - Anche i cani vanno in paradiso”, “Anastasia”, ecc.)
Il problema è che il buon Don ama le sfumature tetre e orrorifiche, immerse in un modo oscuro e notturno, fatto di topi, insetti e altri animali delle tenebre. Tra tutti… il Grande Gufo che la povera Brisby è costretta ad incontrare. Diciamo che se il messaggio era “non andare nel bosco di notte”, l’ho afferrato molto bene dottor Bluth.
Rattigan (Basil l’investigatopo, 1986)
Che classe, che gusti raffinati. Questo è ciò che viene da pensare guardando l’antagonista di uno dei lungometraggi più sottovalutati della storia Disney: il professor Rattigan, personaggio basato sul professor Moriarty di Sherlock Holmes. Un criminale che ottiene rispetto dai suoi sgherri con aplomb, intelligenza e, sembra, controllata collera. Questo controllo però sul finale della storia viene meno, trasformando questo dopo gigante in un ratto terribile ed aggressivo, mostrandone la vera natura, celata per tutto il film. Paura dei ratti? Paura delle persone che all’improvviso cambiano mostrando una faccia sconosciuta? Paura dell’altezza? Paura del vuoto? Paura dei rapimenti? Beh, qui c’è un po’ tutto.
Fred lo strambo (Leone il cane fifone, 1x08, 1999)
Fred è il nipote di Marilù, la padrona di Leone. Fred parla solo in rima. Fred sorride sempre. Fred adora tagliare tutto il pelo agli animali. Fred finisce in manicomio. Tutto in rima. Ed ebbi paura, come mai avuta prima.
Non so quanto questi personaggi abbiano realmente contribuito alla costruzione del mio carattere, quanto siano solamente paranoie infantili, ma sono estremamente sicuro che siano decisamente presenti nella mia memoria, come dei piccoli paletti da tenere sempre ben presenti quando mi avventuro in una via buia, quando decido di fermarmi per un bisogno di notte in centro dando le spalle al nulla (questa è per pochi) o quando mi metto a letto e lascio scoperto un piede per il troppo caldo.
La paura è fondamentale per tutti noi, ci dona maggiore concentrazione. Cercare nuove piccole paure è la benzina per migliorare ed essere pronti alla realtà. Come trovare un modo per essere più allenati nella gestione di questa benzina? Beh, leggere Stephen King, il capo della banda, e ringraziarlo ogni giorno della vostra vita… fino alla morte, ma senza paura.
P.S.: Questo articolo poteva essere notevolmente più lungo e approfondito, con tante citazioni interessanti. Ma avevo paura che risultasse noioso.
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