Chit-Chat
Perché ci fanno stare così male i commenti sui social?
La teoria del font
Tutti, chi più e chi meno, nella nostra vita abbiamo incontrato persone che vanno dall’antipatico al disgustoso e che si sono permesse di prenderci in giro, insultarci o, senza che avessero necessariamente il mirino puntato verso di noi, si siano avventurate in discorsi fuori dal loro ordinario, lasciandosi andare a sciocchezze (per non dire altro).
Sono i classici personaggi che si possono incontrare, da sempre, nei bar, nei ristoranti, al parco e che un tempo venivano additati, con affetto e simpatia, come gli “scemi del villaggio”, ai quali bastava dire serenamente: “sì, va bene, hai detto la tua bella cavolata e adesso stai lì buono in un angolo senza disturbare.” per essere messi a tacere.
Quando il confronto con questi tizi si limitava alla sola sfera verbale, nessuno si è mai preso la briga di dare loro peso o offendersi nel profondo tanto da scatenare conseguenze inimmaginabili.
Ovviamente esistono casi drammatici di esseri umani crudeli che giocando sulle debolezze altrui, anche all’epoca, hanno rovinato esistenze su esistenze; al giorno d’oggi, però, sembra che queste parole cattive abbiano ancora maggiore peso e la credibilità del discorso si sia allargata all’inverosimile. Perché?
La prima risposta è piuttosto banale: oggi come oggi, ogni santo giorno, tutti “parlano”, tutti “commentano”, tutti leggono sui social network e in questo modo hanno allargato a dismisura il “discorso” generale; così, è più facile, statisticamente, incappare in un numero piuttosto alto di idiozie con tutti gli scemi del villaggio che, messi a tacere nei bar, si sono riversati nella rete.
Basta?
No, perché come detto prima basterebbe non dare ascolto a questi commentatori per condurre un’esistenza serena e lontana da insulti e volgarità. Il vero problema dei social network è dettato dalla sua accessibilità e uniformità e l’inghippo è ancora precedente al contenuto e al suo successivo tono di voce: il vero problema è la forma dei commenti.
Siamo tutti incasellati nello stesso schema espressivo: stessa struttura, stessi caratteri e, soprattutto, stesso font.
Questa omologazione nel linguaggio scritto fa sì che tutti gli “attori parlanti” dei social network abbiano, ai nostri occhi e non più alle nostre orecchie, lo stesso peso, dall’ipotetico e autorevole “Presidente Mondiale degli Scienziati Bravissimi” (in breve PMSB) a @gigiscemino72 con l’immagine profilo di un gatto.
Provate a pensare ad una frase che tutti abbiamo, purtroppo, sotto gli occhi ogni giorno ormai: “Con i vaccini diventiamo cavie. Ci iniettano il 5G”. Scritto con questo font lo avete letto mentalmente, con la vostra voce, così come fate per tutti i commenti che trovate sul web.
Ora immaginatelo scandito da una voce credibile come potrebbe essere quella solenne di Mufasa de “Il re leone” (Vittorio Gassman), da sempre indice di autorità. Adesso immaginatela letta dalla voce, con il massimo rispetto possibile e immaginabile, dell’ingenuo Forrest Gump (Francesco Pannofino).
Il tasso di credibilità cambia notevolmente ed è per questo che è così difficile capire le intenzioni e la veridicità di quello che leggiamo tutti i giorni; è per questo che un lettore superficiale può prendere una fake news per vera; è per questo che tante persone sensibili e deboli sono arrivate a gesti drammatici dopo continui commenti ricevuti su internet.
Pensiamo alle emoticon. Perché le usiamo? Per suggerire le intenzioni che vogliamo esprimere attraverso i nostri messaggi. Il font uguale per tutti dei messaggi non basta. “Come stai?” “Bene:)” è diverso da “Come stai?” “Bene.”.
Sfido chiunque a non andare in errore di sistema e far scattare l’allarme di aver fatto qualcosa di male a chi risponde nel secondo modo.
Quello che manca all’infinita mole di parole che vengono scritte quotidianamente sui social network è, molto spesso, la percezione dell’intenzione: la sfumatura espressiva che faccia capire a chi legge cosa stiamo dicendo e come lo stiamo dicendo. Questo è un grosso problema sia per chi scrive, che spesso viene travisato, sia per chi legge, perché per un lettore non esperto è facile essere inghiottito e annegare nel fiume delle parole da social.
“Non si può più dire niente!” penseranno i più. No, non è vero. Si può dire ancora, per fortuna, praticamente tutto. Quello che conta è l’intenzione, è il sapere pesare le situazioni (badate bene: sia di chi parla ma anche di chi ascolta); perché quello che viviamo tutti i giorni è un universo completamente inedito nel quale entriamo in contatto con persone sempre nuove, che non conosciamo: una porzione del “reale”, se così si può considerare, che non è mai esistita prima di noi.
Chi è sempre esistito e sempre esisterà, purtroppo, invece, sono i deficienti, coloro che non sanno quello che stanno dicendo e che, nel migliore dei casi, dicono una fesseria rimanendo deficienti; mentre nel peggiore offendono, feriscono e umiliano, diventando degli stronzi criminali, nascosti dietro ad uno schermo e resi credibili da un font così facile da usare e così potente che neanche loro hanno davvero un’idea dell’arma che hanno tra le mani. Ma, d’altronde, di cosa hanno realmente un’idea questi qui?
Ah, se qualcuno si è sentito offeso in alcuni punti di questo articolo me ne scuso, non era mia intenzione. È che scrivere un articolo su internet mi rende credibile.
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