Chit-Chat
Non è un social per vecchi
Nel 1997 la rivista Harper’s Magazine ha commissionato a David Foster Wallace la realizzazione di un reportage su “una vacanza in crociera”, così da avere un punto di vista non convenzionale su quel tipo di esperienza, sì nazional-popolare, ma che non molti conoscevano in maniera diretta. Così, lo scrittore si è imbarcato per una settimana e ha attraversato i Caraibi prendendo appunti che sarebbero poi diventati, al suo ritorno, il saggio “Shipping Out”, per poi mutare in “Una cosa divertente che non farò mai più”, uno dei titoli più belli sia per un libro che per una cosa vissuta in prima persona, visto che sarà capitato a tutti noi di pensarlo in molte occasioni.
Wallace, come è noto, aveva tanti pensieri e tanti problemi, però, perlomeno, nell’intraprendere quell’avventura, che probabilmente non avrebbe mai scelto di fare per sua volontà, aveva il bel pensiero di ricevere del danaro in cambio. La “cosa divertente che non farò mai più” che ho deciso di intraprendere io, invece, è stata una mia scelta, spontanea, senza che nessuno mi avesse proposto un contratto ad hoc. Ed è forse per questo che è durata pochissimo, tanto che non ha nulla a che fare con l’opera del caro David ma mi piaceva ugualmente iniziare l’articolo con questo simpatico parallelo.
Andiamo per ordine, ovvero da dove tutto è partito: la notizia della settimana. La vera notizia della settimana non riguarda la guerra, la crisi energetica, i problemi nascosti in ogni angolo del mondo, bensì la “scesa in campo” dei più autorevoli e celebri politici italiani nel fantastico mondo di TikTok. Un primo punto su cui riflettere è su quanto in basso sia caduto il concetto di “scendere in campo”, seppur non privo da sempre di dubbi e perplessità, bel tema, ma non è il momento di affrontare questo argomento. Senza fare nomi e senza neppure riportare direttamente il contenuto dei video, quello che mi è saltato all’occhio è il completo, indiscutibile imbarazzo che si prova guardando tutti questi signori di una certa età, impegnati ad apparire simpatici e giovanili o a strizzare l’occhio, perlomeno secondo la loro intenzione, agli elettori del futuro.
Ma, dico io, già credo ci sia da parte di ogni schieramento politico una enorme difficoltà nel percepire quale sia il “paese reale” e i relativi problemi… siamo proprio sicuri che indossare gli abiti dell’influencer, farsi aggiungere dai follower cappellini, occhiali da sole e baffi durante una diretta, sia il modo migliore per rappresentare la Repubblica? Solo perché una cosa esiste e permette di “condividere” un qualcosa, deve essere sfruttata? Non è necessario, come in ogni ambito nel quale è dietro l’angolo la figuraccia, conoscere le regole del gioco per partecipare senza essere presi in giro?
E così, mi sono messo a riflettere. Sono partito da una mia certezza: quella di avere un grosso limite nei confronti di TikTok. Non mi piace, non riesco a entrarci in confidenza neanche come fruitore, figuriamoci come creator; troppo frenetico, troppo difficile stare dietro a tutto quello che succede: è la metafora della società contemporanea all’ennesima potenza, dove tutti sentono la necessità di fare le cose in fretta, dove si parla per tormentoni (o trend, come si chiamano adesso) e dove viene premiato chi sa cavalcarli al meglio, dove l’esposizione è volontariamente e deliberatamente eccessiva e non ci sono limiti tangibili del senso del ridicolo se l’obiettivo è quello di ricevere like.
Per la prima volta dalla nascita dei social network, mi sento ufficialmente fuoriluogo. Un buon punto di partenza, devo dire.
E quindi ho deciso di “scendere in campo”. Mi sono sforzato, anche se ci sono sforzi più insormontabili, e ho deciso di iniziare la mia “cosa divertente che non farò mai più”: perdere tempo scrollando il feed alla ricerca non tanto di qualcosa che mi piacesse, perché, comunque sia, ahimè alcuni contenuti sono veramente divertenti, ma di una motivazione per “partecipare”, di qualcosa che mi convincesse concretamente sul fatto che un noto leader politico faccia effettivamente bene a salutare ad ogni diretta “fragolina06” o ronaldo99”.
E così è partito il mio rapidissimo giro su TikTok, alla ricerca della soluzione all’enigma.
Il primo personaggio che ho incontrato è un ragazzo che replica tutti i luoghi comuni, le situazioni e gli atteggiamenti che tutti noi facevamo quando eravamo piccoli. Ogni tanto interagisce con la sua mamma, interpretata da lui stesso con un asciugamano in testa per simulare i capelli lunghi, e con il suo babbo, sempre lui con abiti più “vintage”. Subito qualcosa che mi ha fatto traballare, visto che mi ritrovavo in qualsiasi video. Ma davvero eravamo tutti uguali? Facevamo tutti le stesse cose? Tutti così omologati in giochi, cartoni animati e, addirittura, nelle relazioni con i nostri genitori? Non è forse quello che rimproveriamo ai ragazzi d’oggi l’omologazione? Vabbè, primo momento in cui mi sono sentito in imbarazzo con me stesso e dove ogni certezza ha iniziato a vacillare.
Poi calcio, in tantissime forme: highlights, risse, momenti divertenti. Da italiano medio, ovviamente, mi sono soffermato, accettando tutti questi contenuti, fino a quando non ho incontrato meme che ironizzavano sulla mia squadra del cuore. Va bene, bello, ma non si può scherzare su tutto (invece non è vero, si può scherzare su tutto. Ma tutto, tutto, tutto.)
Poi spezzoni di una tv che non c’è più come “Scherzi a parte”, ogni programma della Gialappa’s band, o “Domenica In”: frammenti di nostalgia pronti a trafiggermi il cuore. Secondo, inevitabile segnale di quanto l’unico posto che posso occupare in questo spazio è nel reparto “ricordi migliori”, stuzzicando un me stesso bambino che baratterebbe ogni social per tornare davanti alla tv nel bel mezzo degli anni ‘90.
E poi balletti e canzoni. Balletti, balletti, balletti e ancora balletti. Balletti con il cane, balletti con i genitori, balletti con i figli e balletti con i nonni. Anziani obbligati a danzare goffamente, dove, però, non si capisce chi si stia effettivamente divertendo di più.
E ancora scherzi: scherzi agli amici, scherzi ai cani, scherzi ai nonni, scherzi ai figli e scherzi ai genitori. Scherzi palesemente finti a genitori che, inconsapevolmente chissà quanto tempo fa, con una loro reazione spropositata, hanno lanciato un tormentone così apprezzato che sono stati convinti da “quel creator di mio figlio” a replicarli all’infinito.
Tanti, tantissimi genitori con i figli che, senza imbarazzo da parte loro ma creando imbarazzo a me, generano contenuti virali perdendo ogni dignità… ma… mi ricorda qualcuno. Eccoli lì: i politici.
Nient’altro che genitori che vogliono partecipare, senza capire che non sono co-autori ma un cast circense 3.0 che fa ridere perché “fuori dal tempo” e che adora, e questo è dentro ogni tempo anche se in particolare questo qui che stiamo vivendo, ritagliarsi questi pochi secondi di ulteriore fama.
Solo dopo pochi secondi di riflessione e di “analisi sociale” però, realizzo che io stesso sono molto più vicino all’età dei genitori che a quella dei figli. E quale freno non mi fa partecipare e ballare come un salame? Forse quella maturità tra i 30 e i 40 di cui tutti parlano? O forse una lucidità che mi devo tenere stretto finché dura? O non sarà che anche nei social più popolati da “noi anziani del futuro prossimo” ho già scavallato la linea dell’imbarazzo e devo farmi da parte? Se è così, qualcuno me lo dica per favore.
La verità è solamente una ed è la prova schiacciante che ti fa capire di essere diventato “vecchio”: la ricerca di un modo sempre nuovo di criticare i “giovani d’oggi” e i loro spazi, senza capire che siamo stati tutti quanti frivoli e sciocchi, con una gran voglia di fare cavolate e cercare un modo nuovo per ingannare il tempo. Tempo che pensi di ingannare in modo presuntuoso ma con modalità che non ti competono. Ed ecco lo step successivo dell’essere “fuori target”: la voglia di partecipare alle “cose dei giovani”, senza capire che il tempo non si fa ingannare mica così facilmente e, anzi, molto spesso, non sei tu a giocare con il tempo ma lui a giocare con te, soprattutto se ne hai poco a disposizione e tantissime cose da fare, come dovrebbe essere nel caso di un politico. Italiano, per di più.
Troppi 40/50/60enni si dimenticano cosa voglia dire avere 16 anni, tra l’altro senza avere ancora davvero trovato una propria posizione in questo mondo matto. Troppi politici, invece, si dimenticano di avere 40/50/60/70 anni e un Paese da portare avanti con dignità.
Non è un social per vecchi, ok, ma a tratti molto divertente. Tanto divertente che forse non è vero che non lo farò mai più. Ma i politici con i filtri e i balletti anche no.
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