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Conoscere quello che non ci piace
Tutti quanti vorremmo che su Netflix, Amazon Video, Sky, ecc. ci fossero tutti i nostri film o serie tv preferite. Sempre e solo quelli. “Ma chi è che guarda Natale a 5 stelle?!?” sarà capitato di chiedersi sotto il periodo natalizio, “ma mettete Mamma ho perso l’aereo, piuttosto!”.
Siamo invasi da cose che non ci piacciono. Dato il prolificare di canali, piattaforme, siti a nostra disposizione, che nascono e si riproducono quotidianamente nell’universo mediatico, sono molte di più le cose che non guarderemmo mai al mondo di quelle che in realtà ci interessano. È inevitabile.
https://youtu.be/eKBAs9BeuAs
Dobbiamo fare i conti con il fatto che non tutti abbiamo gli stessi gusti.
Questa è una riflessione clamorosamente banale se pensiamo agli spettatori, agli utenti, verso i quali si hanno delle responsabilità: tutti (non sempre, ma facciamo finta di vivere in un mondo perfetto) pagano una quota d’iscrizione e necessitano di poter sedersi sul divano e fruire di un programma a loro consono.
Ma mettiamoci dalla parte di chi quei prodotti li scrive: gli autori di programmi che noi non guarderemmo mai.
Partiamo da una riflessione di Francesco Piccolo nella sua raccolta di saggi “L’Italia Spensierata”. In questo libro l’autore cerca di fare una panoramica sullo Stivale, calandosi in prima persona nelle situazioni più nazional popolari del paese: una vacanza in un villaggio turistico, una giornata a Mirabilandia, un giorno in due diversi autogrill e, in particolare, un pomeriggio passato da “pubblico non pagante né pagato” alla trasmissione Domenica In.
È in questa situazione che Piccolo nota come chi si aggira nel “dietro le quinte” della trasmissione non degni di uno sguardo il pubblico, non gli interessa e non interessa neppure l’andamento della trasmissione, perché, di fatto, gli autori stessi non la guarderebbero mai al mondo.
E qui si arriva ad un’ulteriore riflessione sulla comunicazione in generale. Perché gli autori di Domenica In riescono da decenni a scrivere una trasmissione, in ogni caso, seguita, nonostante a loro non piaccia per nulla quel genere televisivo? Perché conoscono la gente, conoscono i propri gusti e quelli a loro opposti. È una necessità che deve essere posta alla base di ogni strategia comunicativa.
Se quando si scrive un video, un format, quando si studia una campagna pubblicitaria e (soprattutto) politica si pensa solamente ad accontentare sé stessi o, comunque, il pubblico più attiguo ai nostri interessi, la mole di persone raggiunte non potrà mai crescere. Inevitabilmente ci sarà un consolidamento di followers/spettatori che poi lasceranno questo terreno per andare incontro a qualcosa di nuovo.
Nello studio di ogni strategia bisogna porsi come prima domanda “a chi mi sto rivolgendo?”, occorre capire fin da subito il pubblico e le sue esigenze, immedesimandosi nella persona più lontana da noi: “se io fossi un contadino umbro, in là con gli anni… cosa vorrei vedere?”.
È una necessità che vale in televisione, nel cinema, nelle campagne social, nella pubblicità più tradizionale e, con le dinamiche sociali che oggi stanno dominando il nostro paese, nella politica.
È un errore che si commette anche quando si tenta di fare una stima sui gusti di una determinata fetta di società sulla base delle preferenze nostre, di chi abbiamo intorno o di chi è in collegamento con noi sui social network. Inevitabilmente, siamo portati a circondarci di chi, in un modo o nell’altro, la pensa come noi, sia nel mondo reale che virtuale. Confondiamo il paese reale con quello a noi continguo.
Non solo trascuriamo i nostri opposti, ma abbiamo anche la presunzione di avere ragione nell’eventuali diatriba tra i diversi gusti.
Prendiamo per esempio come termometro il Festival di Sanremo, snobbato, criticato, evitato dalla maggior parte degli spettatori, della gente che incontriamo per strada, dei nostri amici. Eppure, la finalissima ha raggiungo il 57% di share, con quasi 11 milioni di spettatori sintonizzati.
https://youtu.be/tAPAiVTBwu0
Prima di storcere il naso e criticare la scelta di 11 milioni di persone forse sarebbe il caso di capire come mai una moltitudine di persone sia concentrata su Rai Uno in quel momento e pensare: “come posso fare per raggiungerla?”
Una metafora molto efficace di come funzioni il mondo dei media si può avere in questa scena della serie tv Boris. La metafora, in realtà, si potrebbe estendere al di fuori di questo frammento ed abbracciare tutta la meravigliosa “fuoriserie italiana”.
La troupe protagonista di questa fiction, in particolare nella figura del regista Renè Ferretti, è alla continua ricerca della “qualità”, che potremmo traslare con “quello che piace a noi” inteso nelle righe precedenti, fino ad arrendersi una volta per tutte, alla fine di questo video, al dover produrre un qualcosa non curato troppo nel dettaglio ma che raggiunga la maggior parte di pubblico, al grido di “a noi la qualità c’ha rotto il c****!”
https://youtu.be/M8z5oNsQ4Kc
Per concludere, torniamo a Francesco Piccolo nel suo libro, vincitore del Premio Strega del 2014, “Il desiderio di essere come tutti”.
All’inizio del romanzo troviamo un passaggio che dovrebbe essere stampato in ogni agenzia di comunicazione, una riflessione utile anche nella vita di tutti i giorni, da ripercorrere mentalmente quando ci apprestiamo ad affrontare una qualsiasi discussione:
“Se riesco a percepire il buio che c’è dentro di me, le somiglianze con ciò che mi piace; se riesco a concepire un’affinità con chi è lontano; se riesco a comprendere quanto non sono coinvolto in ciò che non amo, che non mi piace, che di solito accuso come se non mi appartenesse — quella è la strada concreta, reale, per combattere con limpidezza ed efficacia. L’abitudine è quella di sentirsi estranei agli errori, estranei alle brutture del paese. L’estraneità rende impermeabile la conoscenza, e senza conoscere le ragioni degli altri, non si può combattere.”
Bisogna ripeterselo in loop prima di abbandonare una discussione o scrivere un contenuto destinato al grande pubblico, perché si comincia così, da presuntuosi, per poi finire nella minoranza, con poche armi da giocarsi. È davvero molto difficile, sfiora l’utopia. Ma bisogna provarci.
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