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Technology 13 Lug 2022
Cristiano Federico

Alan Turing e la nascita dell’informatica moderna

Viviamo in un’epoca storica in cui le conseguenze del progresso tecnologico, volenti o nolenti, sono entrate di prepotenza nella nostra vita quotidiana. Che sia il nuovo smartphone, il video di ricette su Youtube che probabilmente hai messo in pausa per leggere questo articolo, o addirittura, elettrodomestici di uso comune, siamo bombardati più o meno direttamente da concetti come “Intelligenza Artificiale”, “Algoritmi”, “Data Science” e altri termini di natura latino-anglofona che fino a pochi decenni fa avremmo sentito solo in un contesto Sci-Fi.

Quello che molta gente non sa è che, in realtà, questa terminologia è nata (e ha assunto i significati che attribuiamo loro oggi) quasi un secolo fa, più precisamente tra gli anni ‘30 e gli anni ‘50, quando un ragazzo di neanche 30 anni avrebbe, grazie al suo articolo On computable Numbers, with an application to the Entscheidungsproblem, rivoluzionato completamente l’informatica moderna.

Il ragazzo in questione si chiamava Alan Turing. Lo scorso 23 giugno ricorreva l’anniversario della sua nascita (avrebbe spento la bellezza di 110 candeline) e oggi è considerato il “padre dell’informatica”; negli ultimi anni il suo nome è sicuramente divenuto noto anche tra i non addetti ai lavori grazie al film The Imitation Game. 

Turing (insieme a un altro matematico, Alonzo Church) ebbe il merito di definire a livello formale e rigoroso la nozione di algoritmo, interrogandosi dapprima sui cosiddetti problemi di decisione (Entscheidungsproblem, appunto), ossia enunciati di natura matematica che ammettono come risposta solo sì o no, e chiedendosi se esistesse una procedura che potesse stabilire sempre e comunque la verità/falsità di tali enunciati. Senza scendere nei dettagli, vi spoileriamo che la risposta fu negativa, e la tesi di Turing fu dimostrata attraverso un modello matematico noto oggi come Macchina di Turing, che è tutt’ora, essenzialmente, la base di qualsiasi smart device esistente.

Nel 1950, invece, Turing anticipò di decenni il concetto di machine learning. Il suo celebre articolo Computing Machinery and Intelligence si aprì con il paragrafo The Imitation Game (da cui il nome del film) che, a sua volta, iniziò con una domanda molto semplice: “Le macchine possono pensare?”. Il cosiddetto “gioco dell’imitazione”, da cui Turing aveva preso spunto, vedeva come protagonisti tre personaggi: A, B e C; quest’ultimo aveva il compito di stabilire, attraverso una serie di domande, chi fosse l’uomo e chi la donna, ovviamente senza indizi palesi come grafia e tono di voce (le risposte alle domande di C venivano trasmesse attraverso dattilografia o sistemi simili). Inoltre, A aveva il compito di ingannare C, mentre B doveva aiutarlo.

L’Imitation Game divenne noto, in questo senso, come Test di Turing la cui tesi è, in poche parole, capire se una macchina fosse capace di dare delle risposte tali che un interlocutore umano non riesca a distinguerle da quelle di una persona reale.

Solo nel 2014 il computer denominato Eugene Goostman è stato dichiarato il primo calcolatore in grado di superare il test di Turing, fingendosi un ragazzino ucraino di 13 anni e riuscendo a ingannare i suoi interlocutori. Tuttavia, le metodologie e gli stratagemmi utilizzati per giungere a questo risultato sono ancora oggetto di dibattito. 

Ad oggi, se con “macchine” intendessimo, ad esempio, gli assistenti digitali (che più di qualsiasi altro dispositivo sono capaci di simulare una conversazione “reale”), potremmo ancora affermare che essi non hanno ancora superato appieno il test. Per fortuna, aggiungerei.

La vita di Alan Turing, però, è una storia agrodolce: negli anni ‘40 lavorò come crittografo, riuscendo a intercettare e decifrare i messaggi di Enigma (la macchina usata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale) e contribuendo in maniera decisiva alla risoluzione del conflitto. Fu considerato un eroe e il suo lavoro ancora oggi è oggetto di studio e parte fondamentale del nostro quotidiano. Tuttavia agli inizi degli anni ‘50 fu condannato alla castrazione chimica a causa della sua omosessualità, all’epoca era ancora vista come reato. Venne isolato per il resto della sua vita, cadde velocemente in depressione e, nel 1954, a soli 41 anni, si tolse la vita avvelenandosi.

Solo nel 2009 arriveranno le scuse del governo britannico, quando il primo ministro Gordon Brown riconobbe che Turing fu soggetto a trattamento omofobo. Nel 2013, invece, la regina Elisabetta avrebbe elargito la grazia con effetto immediato. 

La sensazione, però, è che nessun riconoscimento postumo potrà mai compensare il trattamento subito da un uomo che avrebbe potuto ancora dare tantissimo alla sua epoca e che la sua storia, oggi, debba essere tramandata per intero, soprattutto per i suoi contorni oscuri e, purtroppo, ancora terribilmente attuali.

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