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Marketing 15 Gen 2025
Ilenia Brunelli

Fine del fact-checking su Meta: il confine sottile tra libertà e disinformazione

Lo so, lo so: dovremmo tutti iniziare la giornata con una meditazione, un bicchiere d’acqua o, al massimo, una playlist motivazionale. E invece suona la sveglia, prendi il telefono, e in un attimo ti ritrovi intrappolato nel loop infinito di notifiche, post e storie. Instagram è il tuo buongiorno e, prima che te ne accorga, sono passati dieci minuti e hai già visto il cane di un influencer imparare a fare yoga.

E non sono nemmeno le 8 del mattino.

Però, ecco, questo articolo non vuole parlare del fatto che ci facciamo tentare dal cellulare già dalle prime luci dell’alba. E nemmeno di come sia possibile che una cane impari a fare yoga più in fretta di me.  

Voglio invece raccontarti un cambiamento importante che sta per avvenire in casa Meta  (ovvero Facebook, Instagram, WhatsApp e Threads) e che sta facendo molto discutere.

La notizia è che Mark Zuckerberg ha deciso di chiudere il programma storico di fact-checking negli Stati Uniti, lasciando di sasso chi riteneva questo servizio un baluardo contro la disinformazione. 

La giustificazione ufficiale parla di “tornare alle radici della libertà di espressione”, ma per i più si tratta solo di strategie di business e pressioni politiche

Del resto, i numeri contano: più gli utenti interagiscono, più si commenta, si litiga o si condivide, più Meta guadagna grazie alla pubblicità. E le fake news, si sa, generano un sacco di rumore online, innescando scontri e discussioni infinite. 

In altre parole, con la sospensione del fact-checking, potrebbe salire il profitto, ma a scapito della qualità delle informazioni.

Che cos’è il fact-checking e cosa ha detto Zuck? 

Il fact-checking è quel sistema che separa il vero dal falso sui social, bloccando la diffusione di bufale e contenuti manipolati. 

In pratica, funziona come un filtro che impediva alle fake news di diventare virali, grazie alla collaborazione tra Meta e team di giornalisti o enti specializzati. Insomma, un argine contro il caos informativo.

E ora? Meta ha deciso di mandarlo in pensione negli Stati Uniti. Mark Zuckerberg, in un video su Instagram della settimana scorsa, ha definito questa scelta un “cambiamento radicale”, spiegando che il futuro sarà affidato alla community. 

Gli utenti saranno chiamati a segnalare contenuti falsi attraverso un sistema di moderazione “crowdsourced”, un controllo autogestito in stile Community Notes di X (ex Twitter) di Elon Musk. 

Obiettivo? Ridurre gli errori di blocco e rendere la moderazione meno invasiva e più neutrale possibile. Meta sembra quindi voler fare un passo indietro nella gestione diretta della qualità dell’informazione, lasciando agli utenti il compito di decidere cosa sia vero e cosa no.

In più, i contenuti politici riceveranno meno controlli preventivi e avranno più visibilità. Adam Mosseri, head of Instagram, ha ribadito l’intenzione di “allentare l’iper-moderazione” e di promuovere una libertà di espressione più ampia.

Cosa ne pensano gli utenti

Gli utenti non l’hanno presa benissimo. Nei commenti ai video di Zuckerberg e Mosseri si leggono critiche infuocate: 

“This is going to make Meta even less safe and the spread of disinformation will be much more rampant. A sad day.”

“This is clearly capitulation to the incoming administration, furthering the dissemination of misinformation which is already rampant.

No one wants this.”

C’è chi dice che la libertà di parola vada difesa a ogni costo, senza moderazione. Ma il confine tra libertà e responsabilità è sottilissimo. Da un lato, si teme la censura; dall’altro, è vero che non tutto ciò che circola in rete è innocuo.

Senza un sistema di verifica esterno (giornalisti, fact-checker o enti specializzati), rischiamo di nuotare in una giungla digitale dove vero e falso si mescolano in un mare indistinto. E per i brand o le aziende, il rischio reputazionale può essere enorme: annunci e campagne pubblicitarie potrebbero finire accanto a contenuti estremisti o palesemente falsi, con danni d’immagine non da poco.

D’altro canto c’è anche chi, pur non applaudendo la decisione, mette in dubbio l’efficacia che il fact-checking ha avuto finora. Secondo alcuni, il fact-checking di Meta non ha mai funzionato davvero e pensare che possa essere la soluzione definitiva al problema della disinformazione è un errore: arginare le fake news richiede strategie più ampie e profonde, che vadano oltre il semplice controllo delle piattaforme.

L’effetto domino della disinformazione

Considerato che metà degli americani si informa principalmente dai social, secondo il Pew Research Center, bastano pochi minuti affinché un contenuto fuorviante arrivi a milioni di persone. 

E con le famose “bolle” o echo chambers, in cui le piattaforme ci propongono solo ciò che conferma le nostre idee, la polarizzazione diventa inevitabile. 

Senza un vero controllo su cosa sia vero o falso, il rischio è quello di alimentare panico, odio e diffidenza verso istituzioni o gruppi sociali. 

In tutto ciò, dobbiamo tenere presente che l’Intelligenza Artificiale fa progressi enormi, riconoscere un contenuto originale da uno manipolato è sempre più complicato. I deepfake (video o audio falsi, ma incredibilmente realistici) rendono la distinzione fra vero e fake quasi impossibile senza analisi specialistiche.

Ora che Meta fa un passo indietro sul fact-checking, se gli utenti non hanno gli strumenti per segnalare i contenuti falsi o violenti, la disinformazione trova un terreno fertilissimo.

E in Europa?

In Europa, le cose potrebbero andare diversamente. Grazie al Digital Services Act (DSA), le piattaforme sono obbligate a mitigare i rischi legati alla disinformazione e a collaborare con i fact-checker.

Se Meta decidesse di seguire lo stesso percorso negli USA anche qui, dovrebbe affrontare un’analisi legale approfondita. Ma attenzione: il linguaggio flessibile del DSA potrebbe offrire qualche via d’uscita a Zuckerberg.

La sfida per l’UE sarà dimostrare che queste regole non sono solo teoria, ma uno strumento concreto per proteggere la qualità dell’informazione.

Il futuro: speranze, paure e qualche domanda scomoda

La scelta di Meta solleva un mare di dubbi. Tipo: come si garantisce un’informazione corretta senza rischiare di trasformare i social in una distopia da manuale? E possiamo davvero fidarci degli utenti — spoiler: noi stessi inclusi — per distinguere il vero dal falso in un mondo dove persino i gattini possono essere deepfake?

Forse la risposta sta in un cocktail di soluzioni ben shakerato:

  • Collaborazioni tra governi e piattaforme
  • Educazione digitale: serve un bel “Bufale Starter Pack” da distribuire a tutti, con capitoli tipo “Come sopravvivere alle teorie del complotto in 5 mosse”.
  • Intelligenza artificiale etica: usata bene, l’IA può essere un radar anti-bufale. 

Insomma, la partita è aperta e le soluzioni non mancano. Il vero problema sarà metterle in pratica senza trasformarle in un collage di buone intenzioni che non portano a nulla.

Conclusione

Meta ha deciso: addio al fact-checking, benvenuto mondo dell’autogestione. Ora la palla passa agli utenti, che dovranno destreggiarsi tra fake news e post che gridano alla rivoluzione. Non è il caos totale, ma nemmeno un tranquillo pomeriggio su Pinterest.

Il futuro? Dipenderà da come piattaforme, governi e utenti sapranno gestire questa nuova fase. Nessun panico, ma nemmeno aspettative da fiaba: il confine tra libertà di espressione e disinformazione è sottile, e servirà un bel gioco di squadra per non trasformarlo in una corda tesa sopra il caos digitale.

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