5 sigle di serie tv che non sono solo sigle
5 sigle di serie tv che non sono solo sigle
L’argomento più popolare degli ultimi anni è sicuramente: le serie tv. Raramente ci si sente fuori luogo ed esclusi da una conversazione come quando l’amico di turno tira fuori la fatidica domanda: “Ma l’avete vista nome di una serie tv più o meno recente???” ed il resto del gruppo di amici subito scattante ed entusiasta: “Sì! Che bomba!”, “Bellissima!”, “Sono rimasto incollato allo schermo un giorno.”, e ancora: “Ho visto tutta la stagione ieri notte”. Una gara di fanatismo che causa una sola ed unica vittima visibile a tutti: tu. Tu che non l’hai vista.
Ci sono tanti tipi di consumatori seriali: chi centellina una puntata per volta, chi si spara la stagione tutta d’un fiato, chi guarda gli episodi da solo e chi deve avere un alleato al proprio fianco.
Ma, soprattutto nell’ultimo periodo, si sono distinte altre due tipologie di spettatori: chi skippa la sigla e chi no. Questa opportunità delinea la presenza di un rituale d’accesso alle puntate che passa attraverso questo portale di lunghezza variabile con molteplici significati, e, inoltre, rende palese la presenza di sigle più o meno fruibili. In termini decisamente più spartani e pigri nella ricerca di sinonimi: esistono sigle più o meno belle.
Ma da cosa è dettata questa bellezza? Quali sono le caratteristiche che deve avere una sigla per non essere skippata? Esistono vari tipi di sigle?
Proveremo a rispondere a queste domande grazie ad esempi tendenzialmente molto noti.
È una riflessione che non vale in assoluto: non bisogna mai trascurare la presenza costante degli spettatori che “chissene della sigla voglio vedere subito l’episodio.”
Lost (2004)
Lost è tra le serie tv più lunghe ed incasinate della storia. Intrecci che vengono in contatto tra loro, prendono direzioni improvvise, nuovi personaggi che appaiono e scompaiono senza mai capire dove si vada a parare. A tutto questo caos, però, si contrappone la sigla più semplice e skippabile di tutte, se valutiamo la ricchezza di immagini. La durata è di pochissimi secondi. Dal nulla vediamo apparire il titolo della serie, sfocato, galleggiante nel nulla. La scritta Lost sembra seguire lo stesso destino dei protagonisti delle stagioni.
Sperduta, immersa in un nero desolante, senza una vera direzione, dispersa e lasciata al proprio destino. Nessuna immagine ulteriore né informazione aggiuntiva. Forse si voleva evitare che lo spettatore “perdesse troppo tempo” e tornasse ad immergersi nel racconto, già di per sé complicato ed intricato.
La soglia che lo spettatore attraversa con la sigla è, in ogni caso, efficace. La scritta del titolo parla chiaro: preparati a perderti nel nulla, sia tu uno dei protagonisti o uno spettatore.
Boris (2007)
https://youtu.be/I2QoHoNZts8
Piccola premessa per chi non avesse visto la serie: Boris racconta le vicende di una raffazzonata troupe alle prese con la realizzazione dei una classica “fiction all’italiana”: Gli Occhi del Cuore. Così, nella narrazione avremo attori che interpretano altri attori, attori che interpretano attrezzisti, costumisti, registi e così via.
Con Boris abbiamo un tocco di italianità in questa piccola ma indispensabile rassegna di sigle che rappresenta però un grande esempio di originalità sotto vari aspetti. Questa barriera che porta ad una delle più riuscite serie televisive Made in Italy sembra un vero e proprio videoclip, con tanto di performance canora dei protagonisti. Vediamo tutto il cast della serie immerso in un acquario, habitat del pesce rosso che dà il nome alla serie (nelle stagioni precedenti erano semplicemente ripresi nel proprio ambiente lavorativo). La troupe, rivolgendosi direttamente alla macchina da presa, canta la canzone della sigla d’apertura, dando vita ad un momento simile al musical.
Anche la canzone in sé rappresenta un’evoluzione di significato: prima di tutto il testo è scritto ad hoc, la traccia esisteva già, opera di Elio & Le Storie Tese, ma le parole sono state cambiate per “parlare” della serie. La cosa bislacca è che non parla della serie Boris, ma di quella che Boris racconta: Gli Occhi del Cuore. Un salto mortale di significato, azzardato e coraggioso ma sicuramente efficace anche perché, elemento per nulla trascurabile, ogni protagonista “canta” un estratto di canzone che racconta in prima persona il personaggio interpretato, sia in termini di contenuto che forma.
Una sigla di nemmeno un minuto che ha dentro di sé tanti livelli di significato.
Eppure, sembravano solo degli attori a mollo in un acquario.
True Detective (2014)
https://youtu.be/ZRPpCqXYoos
In True Detective troviamo un’operazione ancora diversa e che vale per tutte e tre le stagioni. Innanzitutto, la scelta delle canzoni è di forte impatto: Far From Any Road — The Handsome Family, Nevermind — Leonard Cohen, Death Letter — Cassandra Wilson. Canzoni che raccontano l’universo attorno al quale girano le vicende dei tre racconti, sia in termini di genere e provenienza musicale che di parte di significato testuale.
La vera forza dirompente è però nelle immagini. In tutte e tre le sigle si susseguono immagini a metà tra il reale e l’astratto, tra le quali si riescono a riconoscere solamente pochi volti ed elementi. Questo alla prima visione.
Man mano che la visione della serie prosegue, però, le immagini della sigla diventano sempre più chiare, evocando scene del racconto.
Sono dei suggerimenti che vengono sbattuti in faccia allo spettatore ignaro, che lo stimolano ad una visione più attenta, alla continua ricerca di altre immagini da riconoscere. Un’enorme densità di significati, inizialmente inconscia, che viene carpita solamente procedendo con la visione.
Anche la complessità della costruzione della sigla ha fatto di True Detective una delle serie tv più apprezzate e potenti di sempre.
I Simpson (1987)
https://youtu.be/1r2EbNSymjE
Questa è una sigla che ci passa davanti agli occhi da sempre, sinonimo di pausa pranzo, pre-pennichella, divertimento e libertà. Siamo talmente abituati a vederla che è data per scontata, anche se in termini di “apertura” è una vera chicca e, se ci si pensa, non è mai venuto il desiderio di skipparla.
Prima di tutto in pochi secondi vediamo tutti i personaggi della serie. Tutti. Protagonisti principali insieme ad altri visti in un episodio o due. Tutti alle prese con la propria mansione o nel contesto nel quale siamo abituati a vederli abitualmente.
Anche in questo caso, una grandissima densità di informazioni, volti e storie che conosciamo, chi più e chi meno, e che sapremmo bene o male collocare in un momento particolare della narrazione.
Postilla finale, che rende la sigla dei Simpson “non skippabile” in questa epoca di consumo frenetico, è il fatto che ne esistano tantissime versioni. In che senso? La frase che Bart scrive alla lavagna per punizione. Un momento divertente e irrinunciabile per i veri cultori.
The Young Pope (2016)
Terminiamo con un piccolo capolavoro, a prima vista molto semplice, che nasconde dentro di sé una marea di significati: The Young Pope, la serie firmata Paolo Sorrentino. Ma andiamo per ordine.
Il protagonista: vediamo apparire dal fuori campo Papa Pio XIII (Jude Law), un Papa controverso. Senza fare spoiler ci limiteremo a dire: un Papa che cambia le sorti della fede, un crocevia storico per la religione. Già la sua presenza è forte ed emblematica, un Papa decisamente inusuale, bello e ammiccante, che cammina a testa alta lungo un elegante corridoio, concludendo il suo passaggio con un occhiolino rivolto in camera verso gli spettori, quasi a volere sottolineare un patto tra lui e chi è a casa, una volontà di fare squadra contro tutto quello che verrà mostrato. Un messaggio che sa di suggerimento: “non penso veramente tutto quello che farò, lasciatemi divertire. È pur sempre finzione.”
La musica: All Along The Watchtower. La canzone è stata scritta da Bob Dylan nel 1967, poi ripresa in una famosissima versione da Jimi Hendrix l’anno successivo. L’adattamento presente nella sigla è del rapper Devlin, pubblicaoa nel 2013. In una versione o nell’altra è una canzone che rompe gli schemi, come li hanno rotti i compositori che l’hanno portata fino a noi, rivoluzionando il concetto stesso della musica, proprio come Pio XIII rivoluziona quello della cristianità. Anche il testo, seppur nella sigla la canzone appaia nella sua versione strumentale, sembra decisamente parlare della storia che lo spettatore sta per incontrare.
Musica centrale e protagonista nel racconto, che parla di e con la storia… ma dell’importanza della musica nella serialità televisiva ne parleremo la prossima volta, forse.
L’arte: un ruolo importantissimo è ricoperto anche dalla scelta artistica che funge da scenografia all’interno della sigla. Al muro vediamo appesi dipinti che ripercorrono le tappe fondamentali della storia della chiesa, dall’Adorazione dei Pastori di Gerrit van Honthorts agli attriti tra cattolici e protestanti de La Notte di san Bartolomeo di Francois Dubois, tutte illuminate da una sorta di stella cometa che passa letteralmente dentro ad ogni singolo quadro, per poi scagliarsi sull’ultima opera, La nona ora di Maurizio Cattelan, dove Papa Giovanni Paolo II viene colpito dalla stella citata precedentemente, diventata un meteorite che metaforicamente distrugge uno dei simboli della chiesa: un’esplosione tra critica e dubbi sul futuro di questa istituzione.
L’arte religiosa è messa, così, in contrasto tra storia e contemporaneità, venerazione e critica.
C’è un ulteriore livello artistico, però.
Se i dipinti erano la parte più vicina alla tradizione secolare della chiesa, c’è una citazione di arte “più recente” e più “vicina” alle origini di Papa Pio XIII, il primo Papa americano della storia: i neon.
Il neon è uno dei simboli degli Stati Uniti, grazie alle iconiche luci che illuminano a giorno le città americane, soprattutto quelle più globalizzate ed incentrate sul consumismo come New York o Las Vegas; in quest’ultima, in particolare, è possibile visitare il museo dei Neon, dato che sottolinea la percezione artistica di quelle luci da parte del popolo americano, un’arte da non trascurare e che, anzi, viene messa di pari grado a quella che racconta la storia della Chiesa, una storia che sta per essere cambiata dal Papa che le cammina a fianco ed accende, di fatto, le luci su entrambe le “versioni artistiche”.
Un’esplosione di livelli e significati che mettono in correlazione la storia con il cambiamento epocale che questa sta per affrontare, lasciando allo spettatore grande incertezza su quello che sta per vedere: un Papa rock e ribelle o un Papa conservatore?
Quello che è certo è lo spessore di carica emotiva che trasmette la sigla, la stessa che Richard Ashcroft dei Verve porta con sé in uno dei videoclip più famosi della storia, quello di Bitter Sweet Symphony, dove il cantante procede cantando la propria canzone, incurante di quello che gli sta succedendo attorno, passando sopra tutto e tutti, continuando ad andare per la propria strada. Esattamente come il Papa giovane di Paolo Sorrentino.
Possono sembrare tutti voli pindarici, esagerazioni trovate solo per scrivere qualcosa su questo argomento.
Ma il tema non è da trascurare, la sigla non è più un momento di riconoscimento e preparazione alla visione, ma una soglia da oltrepassare attivamente, dove lo spettatore coglie molti significati in più rispetto alla mera visione. Proprio per questo motivo è diventato un vero e proprio genere a parte, nel quale le produzioni investono tempo e denaro.
È la porta da oltrepassare, ciò che poi viene ricordato.
È la moderna copertina dalla quale non bisognerebbe giudicare il libro ma alla quale tutti, in realtà, danno notevole importanza.