Chit-Chat
Chi mi governa?
Molto spesso, e quando dico molto spesso intendo quasi sempre nell’ultimo periodo, faccio tantissima fatica a seguire i dibattiti politici in tv. Perché? Perché molto banalmente, preferisco fare altro. O meglio: temendo che un fantomatico senso del dovere prenda inevitabilmente il sopravvento, qualcosa da fare me lo invento. E anche rapidamente.
Mi invento che non c’è nulla di meglio di pulire la cucina, di cestinare un po’ di cartacce; mi invento che è il momento ideale per guardare le gocce sulla finestra scivolare via, inventandomi una competizione. E non ascoltare, non ascoltare nulla. E le sento già le voci dei benpensanti, che forse solamente non riescono a inventare cose da fare, sottolinearmi che “quelli lì sono quelli che ti governeranno! O, peggio! Se non li ascolti, se non li voti, non ti governeranno mai e dovrai accettare quelli che ti governeranno!!”.
Ma avete ragione, eh. Ed è proprio in quei momenti, quando inizio a sentire le voci e a dar loro ragione, che comincio a riflettere e a pormi tante piccole, drammatiche, sgrammaticate e inevitabili domande.
“Ma chi mi governa a me?”
Mi governa la giunta comunale di Forlì? Quella uscente dell’Emilia Romagna? Quella entrante? O dobbiamo andare fino a Roma? O in Europa o a Bruxelles per trovare chi davvero mi sta governando? O in qualche altra città? Al Pentagono, a Mosca, a New York o in qualche angolo sconosciuto di un deserto sconosciuto dove stanno testando qualche nuova bomba sconosciuta? Ecco cosa mi viene da pensare.
E allora riflettendo bene, capisco che quando mi invento cose nuove e molto importanti da fare urgentemente piuttosto che seguire il nuovo dibattito in tv è che perché io non voglio, inconsciamente, farmi governare dagli accordi, dai servi di partito, dalla destra o dalla sinistra, dal pentapartito o da quello monocolore. Non riesco proprio.
Perché, di fatto, io mi faccio e mi sono sempre fatto governare dal geco che “soddisfatto d’essere riduce il fare al minimo” del signor Palomar di Calvino, da “tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico” di Olmi, dal rapido sorriso che avrai negli occhi dopo aver ricordato di avermi atteso tanto. Dalla frenesia con la quale Richie Tenenbaum decide di uccidersi subito, non domani, e tutto diventa musica e poi silenzio.
Mi governa il fatto che “non scompiglia forse i tuoi capelli un poco dello stesso vento che spirava a Babilonia, che soffiava su altre vite e carovane già passate sulla via, prima di noi?”.
Mi governa la tranquillità di una stanza calda che mi trasmette l’ascolto di “Between the bars” di Elliott Smith; mi governano i ricordi di una vita di Kevin Spacey mentre sta morendo, ucciso da uno sparo.
Mi faccio governare dalle lacrime che mi ha fatto sgorgare il maestro dell’orrore Stephen per difendere Cujo; da “non ha mai conosciuto i suoi genitori. Ma d’altra parte chi di noi può dire di averli conosciuti davvero i propri genitori? Cogliamo solo alcuni frammenti di esistenze che rimangono in massima parte nascoste ai nostri occhi, come il corpo sommerso di un iceberg” dello Sgargabonzi; da Edmond, senza il quale è impossibile conoscere la cecità della vendetta. Mi governano l’odore degli asparagi nell’urina di Battiato,“ I Malcontenti" e le poesie russe di Paolo Nori, che mi governa più che mai in questi pensieri perché “il potere, a pensarci, dovrebbe essere quello che uno è capace di fare.”. Mi governa, tantissimo, “il visone ha una faccia enorme” di Faso.
E allora piuttosto che sperare che la situazione politica migliori, che nasca un nuovo politico illuminato che possa governarmi con la lucidità che ho sempre sperato; io preferisco augurarmi che da qualche parte in Ohio o a Faenza o in Basilicata, di giorno, di notte, in un bar o in appartamento illuminato da una abat-jour, un perfetto sconosciuto che ha un lavoro normalissimo, se ce l’ha, come controllare i biglietti in un cinema senza più spettatori, riesca a trovare la forza e la voglia di continuare il romanzo che sta scrivendo da mesi o anni; che riesca a sconfiggere il sonno per trovare il modo per chiudere quell’ultimo interminabile capitolo che mi farà scavalcare i problemi di tutti i giorni per governarmi, regalandomi la possibilità di non pensare a nulla.
E mi farà sentire un suddito oppresso? Forse sì, ma così felice di accompagnarlo per sempre. E allora, cosa dire? Speriamo.
“Vivete dunque e siate felici, figli prediletti del mio cuore, e non dimenticate mai che, fino al giorno in cui Iddio si degnerà di svelare all'uomo l'avvenire, tutta l'umana saggezza sarà riposta in queste due parole: Aspettare e sperare.”
Ricevi i Jump Crunch ogni 15 giorni
5 minuti di aggiornamento sul mercato del digital: poche semplici pillole per essere sempre allineato ai trend dell’innovazione digitale e di mercato.